Tempi moderni: Mostra online curata da Flavio Favelli, artista contemporaneo che con le sue opere unisce concettualità e pop art
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La figura dell’artista implica una distanza da tante cose. Dalla realtà, intesa come attualità, le questioni che interessano la società, dal mondo del lavoro, inteso come luogo di precisi ruoli per rispondere alle esigenze del paese e di mercato. E dal potere, inteso come luogo dell’istituzione e della politica.
E questo non perché siano ambiti poco interessanti, ma perché l’arte non si occupa, non si dovrebbe occupare, di cose troppo reali; la sua natura è la distanza dal vero, una specie di binario parallelo alle spicce faccende umane.
Vogliamo che resti rappresentazione.
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Da artista consapevole, impegnato a non essere impegnato, ho scelto otto opere di pittura fra gli anni Cinquanta e Ottanta. Opere che mi piacerebbe avere in casa e questo metodo, il piacere, mi sembra il più serio per un artista. Azzarderei di dire che l’arte è una questione di gusto e il gusto ha a che fare con la questione della forma, spesso bistrattata dal blocco purista-concettuale. Semplicemente trovo che in queste opere ci siano delle corrispondenze, dei significati visivi, che richiamano la mia attenzione.
Romiti e Perilli sorprendono per le sistemazioni spiazzanti, con piani ribaltati, costringono ad un tentativo di comprensione che sfugge. Ed è proprio questa fuga che ci piace, questa sensazione di smarrimento. Forse Romiti cerca di comporre qualche fiore, s’intravede un bocciolo che emerge fra gli scomparti severi e persi della psiche. Forse Perilli cerca degli stendardi, delle coppe per libagioni, su cui cala un sole giallo.
Afro, in Composizione verde, ci porta ad incamminarci in un sentiero poco indicato. Anche se sembrano macchie e strisciate su muro di una strada sporca o freghi sudici, ci dicono che ci appartengono. Un segno grigio, in basso, appare come le vie del palmo della mano; c’è qualcosa di primitivo e arcaico che ci tira per la giacca.
Un po’ più sofisticata, nel senso di priva di naturalezza, appare l’opera di Mario Schifano, crediamo dei flutti del mare, almeno così sembra.
Marosi anonimi, senza tempo, neri.
Prima o poi ci soffermiamo a guardare il mare, una specie di piacere d’obbligo che crediamo possa rasserenarci; del resto le onde continue blu e nere sono gli ultimi misteri che ci rimangono e questo, questo pezzo di mare scuro forse indica l’inizio di qualche abisso.
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Il Cartello per la Pensione Ristorante Casadei di Mattia Moreni ci disorienta.
Sembrerebbe una specie di cancellatura, oltre che una beffa. O un momento di confusione, di sospensione da certi compiti terreni, come a fare un cartello.
Che l’arte può servire a qualcosa? A fare un cartello di un ristorante?
Non amo tanto Carlo Levi, ma Giardini ad Alassio si presenta come un groviglio di incertezze e gli arbusti, i fiori e gli alberi sono quasi evaporati al fine di una composizione libera senza tanti appigli. Ci si perde in una giungla domestica, più che un giardino.
Più reale è la Natura Morta di Fausto Pirandello, che congela uno sguardo moderno. Sono soggetti maschili, cosa da uomini, da bar, caffè e superalcolici, città e commercio; cose in movimento che si fermano per essere più autorevoli. Finestre di luoghi eterni della modernità e contemporaneità, immagini di seduzione.
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E non si può non essere sedotti da Electric chair di Andy Warhol, forse una delle immagini più devastanti della storia dell’umanità. Warhol è il supremo sacerdote della modernità capace di decretarne l’inizio e la fine. La sedia elettrica di una società, che tocca spesso momenti deliranti, è elevata a immagine leggera, quasi giocosa, qui con un giallo mimosa su un cielino celestino.
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Lo spazio temporale di queste opere, circa trent’anni, è un lungo momento denso e cruciale del nostro tempo.
Queste composizioni, di noti e meno noti, appaiono così come delle voci che oscillano fra il dentro e fuori di questo periodo, una specie di tempo originario della nostra società, quasi mitico, a cui ci rivolgiamo con grande rispetto e passione.
Sono il nucleo dei Tempi Moderni che non ci lasceranno mai.
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Flavio Favelli